Insegnante di Cigliano: «Sto morendo, voglio vivere per mia figlia»

La testimonianza di Paola Pissinis, 36 anni che da giorni è ricoverata all'ospedale di Chivasso. 

Insegnante di Cigliano: «Sto morendo,  voglio vivere per mia figlia»
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Insegnante di Cigliano: «Sto morendo, voglio vivere per mia figlia». La testimonianza di Paola Pissinis, 36 anni che da giorni è ricoverata all'ospedale di Chivasso.

L'incubo dell'insegnante di Cigliano

Un batterio pericoloso, uno di quelli che colpisce una persona ogni diecimila, avrebbe trasformato la vita di Paola Pissinis in un incubo.
Ma lei, con tutte le sue forze, sta lottando in un letto dell’ospedale di Chivasso. Sta lottando per tornare a casa dalla sua bimba di soli due anni, dal marito, ma anche dai suoi alunni della scuola primaria «Don Evasio Ferraris».
Ha 36 anni, ancora tutta una vita da vivere ed è proprio con questo obiettivo che sta vivendo minuto dopo minuto.

I primi malesseri

Un batterio tremendo che avrebbe rischiato di ucciderla come lei stessa racconta, con molta difficoltà: «Sono stata ricoverata all’ospedale di Chivasso - scrive con la poca forza che le resta - all’improvviso, nella mattinata di mercoledì mattina 9 ottobre. Erano dieci giorni che avevo febbre costante. Anche alta. Avevo spossatezza e non sentivo bene da entrambi i timpani. Ma non avevo dolore o altri sintomi, quindi non mi preoccupavo molto. Mi dicevano che sarebbe passato tutto prendendo la Tachipirina, ma la febbre non è scesa. Anzi, è salita. Trovavo difficoltà a fare una rampa di scale, a guidare. Avevo il fiato corto. Dovevo fermarmi spesso. Poi, una fitta nella schiena che mi ha tolto il fiato. Ho deciso così di rivolgermi al medico che mi ha prescritto un antibiotico. L’ho preso, ma anziché vedere miglioramenti sono peggiorata. E quella stessa notte sono stata colpita da una forte crisi respiratoria tanto da credere di morire soffocata. Avevo la febbre 39.9 e sputavo sangue. Stavo seriamente male, non riuscivo quasi a camminare e respiravo a fatica. Mio marito non ha perso un minuto: mi ha portato di corsa in ospedale, a Chivasso.

La corsa in ospedale

Voleva già portarmi da un paio di giorni, ma io minimizzavo dicendogli che era solo stanchezza. Ma lui era preoccupato. Io non volevo lasciare le mie classi a solo un mese dall’inizio della scuola, quindi cercavo di resistere. Ligia al dovere perché al mio lavoro e ai miei alunni ci tengo molto. Ma se avessi tardato anche solo 48 ore probabilmente non sarei più qui a raccontare tutto ciò».
Nelle parole di Paola si legge veramente la paura che ha vissuto una volta arrivata al Pronto soccorso.
«I medici - continua la donna - capiscono subito la gravità della situazione. Mi sottopongono a tanti prelievi di sangue, e nel frattempo la febbre sale ancora. Mi ricoverano. Non respiro più da sola, mi devono attaccare all’ossigeno. A fatica riesco ancora a muovermi. Scrivo messaggi a famigliari e colleghe. Rassicuro tutti dicendo che tornerò presto. Venerdì mattina, però, la situazione precipita. Mi aggravo. Mi portano veloci in rianimazione: ho bisogno di essere attaccata alle macchine per respirare. Mi mettono una grande maschera sul viso, non posso più parlare, ho tubi e fili. Non sento più niente, leggo il labiale dei medici e comunico con gli occhi e alzando un dito. La situazione è degenerata, non mi riesco più a muovere, muovo solo i piedi e le punte delle dita. Sono però ancora abbastanza lucida. Capisco quello che sta succedendo purtroppo. Il mio corpo si sta spegnendo e mi chiedo: perché succede a me?
Il cuore è provato. Sono in una situazione critica.
Vivo uno stato quasi vegetativo, mi devono fare tutto: lavarmi, imboccarmi, spostarmi. La notte sono sedata, di giorno mi sforzo di cercare di allenare la mente. Mi rimane solo quel po’ di lucidità per scriverle la mia storia. Potrei peggiorare all’improvviso, ne sono consapevole, ma lotto con tutte le forze che ho. Non vincerà il batterio maledetto. Vincerò io. Lotto per riabbracciare la mia bellissima bambina, ha solo 2 anni. Voglio risentire la sua voce. Lotto per mio marito con il quale sono sposata da 4 anni. Mia figlia e lui sono la mia vita. E poi voglio tornare a al lavoro che amo molto. Amo esser la maestra dei miei cari alunni. Sto lottando tra la vita e la morte, la mia vita è appesa a un filo».

Il Vercellese fa il tifo per lei

Tutta Cigliano e Moncrivello, quest’ultimo è il suo paese natale, sono preoccupati per lei.
«Sono coraggiosa, lotterò con tutte le mie forze» conclude Paola.

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