Ex sindaco di Crescentino condannato per bancarotta fraudolenta

Si tratta di Giovanni Francesco Bonesso, 72 anni e di suo figlio Davide, 44 anni.

Ex sindaco di Crescentino condannato per bancarotta fraudolenta
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Ex sindaco di Crescentino condannato per bancarotta fraudolenta. Si tratta di Giovanni Francesco Bonesso, 72 anni e di suo figlio Davide, 44 anni.

Ex sindaco di Crescentino condannato

Pubblicata pochi giorni fa la sentenza della Corte di Cassazione (la data è del 27 novembre 2019) sui ricorsi proposti da Giovanni Francesco Bonesso, 72 anni, ex sindaco di Crescentino, e di suo figlio Davide, 44 anni.
Nel documento, i giudici della Quinta Sezione Penale (presidente Maria Vessichelli, relatore Matilde Brancaccio) hanno fondamentalmente sposato la tesi del Sostituto Procuratore Generale Tomaso Epidendio, che visto il ricorso presentato dai Bonesso ha chiesto l'annullamento con rinvio limitatamente alla pena accessoria e l'inammissibilità nel resto.

I fatti

Con la decisione datata 14 maggio 2018, la Corte d'Appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Torino (pronunciata il 21 giugno 201) nei confronti di Giovanni Francesco e Davide Bonesso per il reato di «bancarotta fraudolenta per distrazione», con la quale gli imputati sono stati condannati alla pena di due anni e tre mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie e, tra queste, quella prevista dall'articolo 216, ultimo comma, della Legge Fallimentare, nella misura fissa decennale, per aver sottratto beni e somme di danaro della società «Monti Costruzioni srl», dichiarata fallita il 30 novembre 2007. Nello specifico, la pena accessoria prevede «Per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa». Difesi dall’avvocato Rossi, i Bonesso hanno presentato ricorso in Cassazione, «deducendo con un unico motivo vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità del provvedimento nella parte in cui non ha inteso riqualificare il reato in bancarotta semplice».
«Con riferimento alla bancarotta per distrazione, infatti - si legge nelle carte - non si tiene conto che le autovetture possedute dagli imputati a titolo di comodato sono state consegnate al curatore successivamente al primo accesso dopo il fallimento quando non vennero rinvenute poiché non ricercate. Quanto alla autovettura Volkswagen Polo, mai rinvenuta e sulla cui sorte la Corte d'Appello sottolinea che gli imputati non abbiano saputo fornire spiegazioni, non si è tenuto conto del fatto che, data la sua vetustà, non vi sarebbe stato interesse a sottrarla alla massa, mentre la circostanza pure evidenziata in sentenza che essa sarebbe stata segnalata da un autovelox nelle vicinanze dell'abitazione di Giovanni Francesco Bonesso può essere frutto di molteplici spiegazioni non prese in considerazione dai giudici di merito».

La Corte

Scrivono i Giudici: «Il ricorso è, nel complesso, manifestamente infondato ed inammissibile nei motivi proposti. Il motivo riferito alla mancata riqualificazione della bancarotta fraudolenta in bancarotta semplice è del tutto privo di pregio e genericamente proposto, senza un reale confronto con le precise e logiche ragioni argomentative proposte dalla Corte d'Appello di Torino, che ha sottolineato la condotta pacificamente distrattiva dei ricorrenti, i quali hanno occultato alla curatela una parte del "parco auto" di proprietà della fallita, sino a quando i veicoli non sono stati recuperati dalla stessa curatela e hanno, altresì, fatto perdere del tutto le tracce di una Volkswagen Polo mai rinvenuta, in relazione alla quale correttamente i giudici hanno sottolineato l'inverosimiglianza delle spiegazioni di sostanziale ignoranza al riguardo fornite dai ricorrenti.
Inoltre, è stato anche concordemente ricostruito dai due giudici di merito che il passivo accertato non è imputabile a perdite gestionali, come solo genericamente dedotto dai ricorrenti in sede di procedura, senza portare alcuna prova documentale a riguardo. (...) La documentazione contabile consegnata dai ricorrenti (peraltro solo a seguito di perquisizione nell'abitazione di Giovanni Francesco Bonesso) non è stata di alcuna utilità per la ricostruzione del patrimonio della fallita, tanto che è stata dissequestrata e restituita e tale accertamento è stato ampiamente motivato dalla Corte d'Appello e coerentemente messo in relazione con le ulteriori condotte di ostacolo dei ricorrenti alla ricostruzione del patrimonio della società (l'occultamento delle autovetture; il mancato totale rinvenimento di una di esse; la coincidenza dell'assenza di scritture contabili con il periodo dal quale si registrano le perdite societarie; la spiegazione, risultata del tutto indimostrata e poco credibile in sè, di aver fatto tenere le scritture contabili ad un commercialista non meglio in dividuato che non le avrebbe poi mai riconsegnate). Da tali elementi ricostruttivi, si evidenzia, altresì, la sussistenza del dolo specifico di fattispecie quanto al reato di bancarotta fraudolenta documentale, per sottrazione, occultamento o distruzione delle scritture contabili».
Detto questo, la Corte ha comunque annullato il provvedimento impugnato «quanto alle pene accessorie», coerentemente a quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale (numero 222 del 5 dicembre 2018) che ne ha dichiarato l'incostituzionalità della durata fissa in dieci anni. Questa parte della sentenza è stata quindi annullata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino.

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