'Ndrangheta, ecco come aveva esteso il suo potere nel Chivassese

Dopo l'operazione Cerbero.

'Ndrangheta, ecco come aveva esteso il suo potere nel Chivassese
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Operazione Cerbero: ecco come la ’ndrangheta aveva esteso il suo potere nel territorio chivassese tra soldi e droga.

'Nndrangheta, ecco come aveva esteso il suo potere nel Chivassese

C’è un filone tutto chivassese nell’operazione «Cerbero», quella che la scorsa settimana ha portato una settantina di persone in carcere per mano dei carabinieri del Comando Provinciale di Torino.
Uno dei vari faldoni che compone il corpo delle accuse è infatti legato alla «Miracle», inchiesta condotta dai militari della Sezione Operativa della Compagnia di Chivasso, coordinati dal Capitano Luca Giacolla e dal Luogotenente Leonardo Luchena, depositata nel maggio del 2018.

Le origini dell'indagini

Tutto ha avuto inizio da una complessa attività investigativa, all’epoca la Compagnia era guidata dal Capitano Pierluigi Bogliacino, a carico dei fratelli Bruno ed Enrico Lazzaro, di Chivasso, arrestati nel febbraio del 2016 insieme a Davide Gioffrè (anche lui di Chivasso) e a Arcangelo Cuzzupi, di Volpiano, considerato «Intermediario in favore dei predetti Lazzaro per l'approvvigionamento di sostanze stupefacenti provenienti da altri soggetti operanti sul territorio di Volpiano».
Cuzzupi è cugino di primo grado di Domenico Agresta, il collaboratore di giustizia che ha permesso agli inquirenti di fare luce sulle ramificazioni della ‘ndrangheta in Canavese, a suo volta nipote di Antonio Agresta, considerato il «capo società» con «con compiti di decisione, pianificazione e individuazione delle azioni e delle strategie, e di mantenere i contatti con la cosca operante in Calabria».
Da rimarcare come il «pentimento» di Domenico Agresta abbia influito poco o nulla sull’indagine dei carabinieri di Chivasso, la cui fase investigativa era già in corso all’atto della sua decisione di collaborare.
Un collegamento, quello tra Chivasso e Volpiano, che secondo gli inquirenti permetteva lo spaccio in città di circa 600 dosi al mese, e che non si è mai interrotto pur cambiando gli attori.
Nel marzo 2018, infatti, l’asse tra Chivasso e Volpiano è tornato agli onori della cronaca con l’intervento dell’Arma a casa di Andrea Ciconte, originario di Chivasso ma residente a Volpiano, già «attenzionato» per il solito rapporto di amicizia con Antonio Agresta. Dopo aver fermato un uomo sospettato di aver appena ricevuto della cocaina da Ciconte, i carabinieri avevano effettuato un controllo nella casa di quest’ultimo che però era riuscito, secondo le accuse, a gettare la droga nel water.
Un altro nome «chivassese» è quello di Stefano Fossati (ora residente a Torrazza), su cui i carabinieri indagano dal 2016 dopo aver registrato un passaggio di cocaina tra Antonio Agresta e Terenzio Imbergamo, e da questi a Fossati «In quantità certamente superiore a grammi 73». Fossati era stato poi arrestato due volte: la prima nell’agosto del 2016 « in quanto trovato in possesso di 550 grammi di hashish (che aveva acquistato da un cittadino nordafricano) e di 73 gr di cocaina, occultati in casa», la seconda nell’ottobre del 2017 per 23 grammi di cocaina.

La malavita a Chivasso

Chivasso, quindi, è sempre rimasta una piazza importante per la ‘ndrangheta, che ha saputo reagire alle operazioni «Minotauro» e «Colpo di Coda» facendo crescere giovani leve con il ruolo di «intermediari» dello smercio di sostanze stupefacenti.
Non vi sono più, infatti, le figure degli spacciatori agli angoli delle strade, alla stazione ferroviaria o nel parcheggio del Movicentro, ma «intermediari» in grado di dialogare direttamente con i capi (vedi Ciconte) spacciando a casa o a domicilio la singola dose. Una accortezza che, in caso di controllo, rende meno gravi le accuse.
Anche per questo, l’ultimo «intermediario» a cadere nella rete, Sebastiano Siclari (originario di Chivasso e residente a Villareggia), registrato in moltissime occasioni mentre riceveva cocaina da Antonio Agresta e altri in quantità ogni volta pari a 50 grammi.
Una rete che fa anche capire come nessuno potesse a spacciare a Chivasso, Brandizzo, Torrazza e anche nel vercellese senza il placet della ‘ndrangheta, che dalla nuova base di Volpiano aveva esteso ovunque i propri mortali tentacoli.

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